Irma Pedrielli – Ada Zucchelli


Il 14 settembre 1944 Irma Pedrielli e Ada Zucchelli vendono catturate dalle Brigate Nere a Calderara di Reno. L’operazione si svolse a seguito della delazione di una spia, incarcerate, torturate verranno fucilate il 19 settembre al Poligono di Tiro.

Irma Pedrielli (nome di battaglia Wilma) nasce il 27/3/1924 a Calderara di Reno. Entrata nel movimento partigiano, fece parte del reparto femminile della 7ª brg GAP Gianni Garibaldi con funzione di staffetta. Fu addetta al servizio informazioni e collegamenti. Il suo nome fu dato a un GDD (Gruppo Difesa delle Donne). A Bologna gli è stata dedicata una scuola d’infanzia.

Ada Zucchelli (nome di battaglia Olga) nasce il 25/2/1917 a Calderara di Reno. Militò nella 7ª brg GAP Gianni Garibaldi e operò a Bologna e Calderara di Reno. Fece parte del gruppo che preparò lʼassalto alle carceri di S. Giovanni in Monte (Bologna) il 9/8/44 e liberò i prigionieri politici e comuni. Ebbe lʼincarico di tenere i collegamenti con i detenuti per concordare le modalità dellʼoperazione.

Il ricordo di Renata Viganò

A Calderara di Reno come a Sala Bolognese come in tanti comuni della pianura, il fascismo non attaccò mai bene. Nel capoluogo c’erano i padroni, s’ intende, e si formò per paura o per interesse quel masso chiuso ed ottuso che tanto nei piccoli paesi che nelle grandi città permise per ventanni la tirannia. (Apro una parentesi: è i un masso qua e là sgretolato, ma certi mattoni cotti che ancora rimangono inerti, bisogna scalpellarli ad uno ad uno. Mi riferisco alla gente strana, leggèra, euforica, che dell’altra guerra non si ricorda, di una eventuale guerra futura non si è mai occupata, però quando apre bocca sia sul passato che sul presente non è che per dire una fesseria. Chiusa la parentesi).

Così non erano le case coloniche di Calderara di Reno, nelle quali vivevano vecchi socialisti, attaccati alla terra ma coscienti di un diritto di lavoro e di libertà che in quei Cent’anni gli fu assolutamente negato, e anche ogni parola e protesta furono impedite e spente dai cento modi indovuti ed ingiusti della dittatura. Rimase l’idea che non è un lume da soffiarci sopra, non si estingue anche se il fiato è cattivo.

Ada Zucchelli nacque nel ’17 in una di quelle case, conobbe sempre la verità nuda sul fascismo, ebbe parenti incarcerati e picchiati, fu pronta alla lotta partigiana quando fu il suo momento. Negli anni fascisti dovette venire a Bologna e imparare un mestiere: le condizioni di casa non bastavano alla vita. Fece la bustaia e divenne brava e ricercata, trovò occupazione fissa presso una ditta importante. Rimase pertanto la ragazza semplice e schietta della campagna, con la faccia bella, il corpo solido e sano, i bruni capelli densi. Voleva bene alla famiglia, non lasciava un’occasione per andare a casa, le piaceva di ritrovarsi tra le piantate verdi degli alberi e i quadrati gialli del frumento o della terra lucida e rivoltata per l’aratura. «È un’altra aria » diceva.

E forse disse « È un’altra aria » il 25 luglio quando fece il capitombolo il fascismo. A tutti parve di respirare, ma fu breve ossigeno per i polmoni. L’8 settembre vedemmo il passaggio dell’esercito disfatto e sbandato, poveri soldati stracciati reduci da cento tragiche avventure, che cercavano di mettersi in salvo da quest’ultima, poiché già ognuno di quelli all’alto comando aveva pensato a se stesso, stava tranquillissimo con gli alleati, chiacchierava sulla fuga più vergognosa della storia, definendola con eleganza « passaggio della linea ». Da quel giorno l’Ada ebbe il suo posto: insieme al nipote Roveno Marchesini, un ragazzo, prese contatto coi primi gruppi di partigiani che si stavano organizzando in provincia, trasportò materiale di propaganda, viveri, armi. Nel maggio 1944 entrò con Roveno a far parte della 7.a GAP.

Anche l’Irma Pedrielli era nativa di Calderara di Reno e amica dell’Ada al paese. Ma venne a Bologna con tutta la famiglia cercando ognuno di trovar lavoro. A Calderara di Reno le condizioni per gli operai erano tali da non offrire alcuna possibilità, tranne quella di morire di fame. L’Irma quasi una bambina, fece l’orlatrice, un mestiere pericoloso per chi non ha buone spalle, ma lei le spalle le aveva buone, e in ben altro mestiere lo dimostrò più tardi. Allora si contentava del suo piccolo salario, e intanto con le idee dei suoi e con le ingiustizie di ogni giorno la sua mente cominciò a lavorare per conto suo e a farsi una opinione molto amara contro il regime imperante.

E quando ebbe superato le solite speranze del 25 luglio sfumate pericolosamente l’8 settembre, appunto per il pericolo si sentì adatta e ad esso si prestò. Fece subito quello che poteva, le sue fedeli amicizie le servirono per essere accettata, messa in opera nella lotta clandestina. Un compagno si rese conto della sua validità, era Renato Zuppiroli, partigiano combattente impiccato in seguito a Corticella, rispose di lei malgrado la sua giovane età, la portò alla 7.a GAP.

Essere staffette della 7.a GAP Gianni non era cosa da poco. Gli uomini della Brigata lavoravano forte, facevano cose straordinarie in una città piena di tedeschi e di fascisti, erano presenti dappertutto, lasciavano tracce evidenti del loro passaggio. Ad un certo momento il nemico sgomentato credette che a Bologna vi fossero almeno duemila partigiani, divulgò frenetico la notizia riscuotendo un successo di ilarità da parte di coloro che conoscevano il vero esiguo numerò.

Naturalmente questa specie di partigiani esigeva da ognuno che fosse a loro aderente una uguale quota di abilità e di audacia. L’Ada e l’Irma passarono molti difficili esami, entrarono nella fiducia del comando, ebbero compiti esatti e rischiosi. Erano staffette, infermiere. A volte facevano le cuoche in una base, lavavano, stiravano. Sempre era lo stesso pericolo, ogni minuto bisognava tener d’occhio la strada o la finestra, non si trattava di pacifiche ore casalinghe. Eppure l’Ada e l’Irma sorridevano, spesso cantavano se erano sicure che non fosse imprudenza.

Ma le spie sono più forti della prudenza, le spie non perdonano al coraggio. Un giorno, il 14 settembre 1944, indicarono alle brigate nere una casa di via del Miliario. Là c’erano alcuni gappisti e l’Irma. Tra i gappisti Sergio Galanti, il suo fidanzato. S’impegnò il combattimento a forze dispari. I partigiani tentarono una sortita per raggiungere la base di via Ponte Romano dove era l’Ada con altri compagni. Vi giunsero sparando, ma anche là avevano fatto gioco le spiate, e li aspettava un rinforzo di fascisti. La battaglia si svolse rapidissima, certo la brigata nera non ne uscì incolume, ma anche da parte partigiana ci furono morti, e per primo Sergio Galanti, fidanzato dell’Irma. Roveno e le due ragazze li arrestarono subito, li buttarono su un camion, li portarono alla caserma di via Borgolocchi.

Dopo tanto rumore di spari in via Ponte Romano tornò il silenzio. E’ una piccola strada che finisce sul Reno, contro una enorme draga per lo scavo della ghiaia. Un paesaggio profondo e serio a causa del lungo braccio nero inclinato. E quella sera il grande strumento del lavoro, fermo, sembrava che acquistasse una vita e uno sguardo, verso il cadavere di Sergio Galanti, caduto lì vicino, che i fascisti non permisero di muovere per tre giorni. « Per l’esempio » dissero. I rari terrorizzati abitanti delle case intorno, aprivano appena le persiane, vedevano il corpo, richiudevano. Solo, Sergio Galanti fu vegliato dalla grande draga inattiva, nera sul fondo bianco del fiume.

Dal momento in cui l’Ada e l’Irma furono portate alla caserma di via Borgolocchi non se ne seppe più niente fino alla notizia scarna della fucilazione. Sicuramente i «neri» di via Borgolocchi non raccontano che cosa hanno fatto di loro nei due giorni che le hanno tenute là dentro. E tanto era quello che hanno fatto che non poterono fare a meno di ammazzarle. Se anche qualcuno avesse detto: « Che peccato, due belle ragazze, meglio Cercare di portarle a letto! » doveva essere un ingenuo, o appena arrivato, e subito tutti gli avrebbero dato sulla voce.

« A letto di loro voglia con noi non ci vengono. E poi non vedi come sono conciate? » Tutto devono avere patito le due ragazze in quei giorni misteriosi. Torture, offese, violenze, e di quale specie s’immagina, lusinghe, promesse, terrori. Niente. L’Ada e l’Irma non dissero una parola che potesse lacerare il tessuto clandestino o portare danno ai compagni. Forse avranno gridato, ma i gridi non sono nomi, non dicono niente se non la inesorabile sevizia fìsica e altrettanto inesorabile, là forza della resistenza.
Soltanto una persona poteva narrare i fatti del martirio. Era un religioso cui l’Irma, credente, si confessò. Ma egli si mise in salvo dietro il segreto della confessione. Nulla del resto ci si poteva aspettare da un uomo che, vestendo un santo abito, andava nella caserma delle brigate nere di via Borgolocchi.

La mattina del 16 settembre portarono l’Ada e l’Irma al Poligono e le fucilarono. Certo la morte fu l’operazione meno dura per il corpo. L’istinto di continuare ad esistere, il diritto di rimanere al mondo con tanti anni da vivere, non si sa come siano stati nell’ultimo momento. Certo non furono tali da rompere in loro il grande silenzio.
Al colmo dell’ira i fascisti fucilarono il ragazzo che anche lui non aveva parlato.

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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