Lo schiaffo a Toscanini


Il 14 maggio 1931 io ero tra gli invitati all’annunciato concerto che il Maestro Toscanini doveva tenere al Comunale di Bologna in commemorazione di Giuseppe Martucci.

L’invito mi era stato dato come iscritto al Sindacato orchestrale, essendo diplomato in pianoforte. Raramente ero in quei tempi assente alle manifestazioni artistiche del massimo teatro bolognese e certo non avrei potuto mancare quella sera, sia per la presenza del Maestro Toscanini, che certo era al momento il più degno interprete di Martucci, e anche perché ero un estimatore appassionato di Martucci di cui conservo un prezioso cimelio e cioè una delle sue bacchette da direttore.

L’eccezionale avvenimento artistico aveva risvegliato l’antica passione musicale dei bolognesi. L’orchestra era quella del Sindacato orchestrale di Bologna e il programma prevedeva l’esecuzione della prima Sinfonia in re minore (op. 75),della Canzone dei ricordi – Notturno e Novelletta, per soprano e orchestra e come voce era indicata la signora Luisa Bertana, e di una Tarantella. In platea e nei palchi era prescritto l’abito da sera.

Era un giovedì ed era giorno festivo per il fatto che si doveva inaugurare la Fiera ed era annunciata la presenza del Ministro Costanzo Ciano, di Leandro Arpinati e di molti gerarchi ed autorità. Dopo l’inaugurazione della Fiera tutti i gerarchi avrebbero inaugurato anche la Funivia di San Luca e poi si sarebbero trasferiti in un ristorante sul colle per l’inevitabile cena che per essi era certo più importante della noiosa serata teatrale. Tutta questa parte del programma andò, infatti, come previsto.

Mentre i gerarchi erano lassù, intenti a mangiare e ad innaffiare i tortellini col lambrusco, certo non potevano prevedere che, frattanto, giù in città il letterato prof. Giuseppe Lipparini, che era organizzatore del concerto, stesse soffrendo lepene dell’inferno per risolvere in un modo qualsiasi il problema sorto con il rifiuto di Toscanini di presentarsi in teatro e di dirigere il concerto se si fosse pretesa l’esecuzione dell’inno fascista Giovinezza. Lipparini, infatti, durante tutto il pomeriggio aveva tentato invano di convincere il Maestro ad accettare una soluzione di compromesso: aveva proposto che il primo violino entrasse, dirigesse l’esecuzione dell’inno fascista e poi si ritirasse per qualche minuto e poi Toscanini sarebbe entrato per il concerto. Ma Toscanini aveva detto di no. Allora propose di fare entrare una banda per l’inno, poi di farla uscire in fretta e, ristabilito il silenzio nella sala, il Maestro sarebbe entrato per iniziare l’esecuzione. Ancora un no, deciso e fermo: anzi Toscanini disse che quelle musiche avrebbero guastato l’atmosfera (sembra abbia anche detto che lui non si prestava a quelle pagliacciate).

Erano già le 21 e tutto era ancora bloccato. Una banda — quella dei ferrovieri, diretta dal maestro Ottino Ranalli — era pronta fuori, sotto il portico del teatro, in via Zamboni. La voce cominciava a circolare sia fuori che dentro dove tutti i posti erano esauriti e c’erano solo due palchi di proscenio vuoti, in attesa dei gerarchi. Io allora uscii dal teatro per avere notizie più precise su ciò che stava maturando e nell’uscire vidi che, frattanto, facevano entrare la banda nell’atrio principale, schierandola di lato. Mi avviai verso la porta di accesso al palcoscenico nella speranza di vedere degli amici orchestrali e stavo per raggiungere la porta quando vidi arrivare la macchina, credo fosse una Isotta Fraschini scoperta davanti, dove sedeva il Maestro. La curiosità di vedere il Maestro da vicino mi spinse a correre verso la porta di servizio, cioè proprio nel luogo dove stava per accadere il fattaccio.

È necessario però che si sappia che quando erano cadute tutte le speranze di una mediazione Lipparini, qualcuno aveva avuto la felice idea di inviare la signora Carla Toscanini — e questa era davvero l’ultima possibilità che restava — al ristorante sul colle per informare i gerarchi della decisione del marito. Arrivò che erano ancora a metà della mangiata e così non fu difficile alla signora Carla convincerli della opportunità di non venire a teatro per cui non si sarebbe suonato l’inno e tutto era risolto. Si dice che i gerarchi avessero accettato bonariamente la proposta, forse anche perché così si sarebbero cavati elegantemente il peso di una manifestazione culturale per essi faticosa.

Appena Lipparini seppe dell’accordo ne diede, felicissimo, l’annuncio a Toscanini e il Maestro subito partì dall’Hotel Brun, che era all’angolo di via Ugo Bassi con piazza Malpighi, per recarsi al teatro.

Notai subito che, ancor prima che il Maestro scendesse, l’atmosfera era tesa, eccitata. Molti gerarchi e gerarchetti locali, in camicia nera, erano sul posto con l’evidente proposito di insultare il Maestro e certo non sapevano che i loro capi, lassù al ristorante, avevano chiuso il caso all’italiana. Gli insulti cominciarono come Toscanini scese di macchina. Poi venne una mischia e si passò a vie di fatto. Toscanini ricevette un forte schiaffo alla guancia sinistra, in basso, all’orlo del labbro. Allora l’autista, Emilio, che era un uomo fortissimo, diede uno spintone al Maestro facendolo entrare di forza nella macchina e poi cominciò a battersi a pugni coi fascisti perche non si avvicinassero. La fortuna volle che la macchina aveva la guida a destra e così gli fu facile portarsi in velocità verso via Moline, poi in via Indipendenza, fino all’Hotel Brun. Quando la macchina partì i fascisti urlarono e fischiarono, ma non pochi dei presenti gridarono:

“Viva Toscanini!”.

Ricordo che fra i fascisti che attorniavano il Maestro c’erano Vannini, Remondini, Gelati e altri e credo sia stato Gelati a lanciare il primo schiaffo. Frattanto, dentro al teatro, alcune camicie nere si erano avvicinate al palco dell’orchestra e un annunciatore aveva comunicato che il concerto era sospeso per indisposizione del direttore.

Partito Toscanini, i fascisti organizzarono un corteo che si avviò, fischiando, imprecando contro Toscanini e cantando “ce ne fregammo un dì della galera”, attraverso le strade del centro. Alla testa del corteo c’erano i gerarchi in frac e camicia nera: non c’era ancora un completo disprezzo per l’abito borghese e solo più tardi Mussolini dirà la storica frase : “Nelle cerimonie del regime non più tubi da stufa in testa, ma la camicia nera della rivoluzione!”.

Giunti all’Hotel Brun, i gerarchi intimarono a Toscanini, tramite Respighi, di lasciare subito la città. Ed era proprio quello che Toscanini intendeva fare. Poi il corteo ritornò indietro, fece un programma di inni fascisti al caffè San Pietro, il caffè dei gerarchi, all’inizio di via Indipendenza. Frattanto, davanti al Comunale si erano formati due partiti: chi approvava, chi disapprovava. Anche in centro vi furono delle discussioni e dei tafferugli. E così pure fra gli orchestrali, la maggioranza dei quali, però, patteggiava per Toscanini: fra gli orchestrali fu schiaffeggiato il professore di viola Marcigoni, perché non era iscritto al fascio.

All’Hotel Brun il Maestro Toscanini dettò un fiero e durissimo telegramma di protesta a Mussolini in cui denunciava di essere stato aggredito da “una masnada inqualificabile”; poi, verso le due, partì in macchina da Bologna diretto a Milano, dove, dopo due giorni di attesa della risposta di Mussolini, risposta che non venne, lasciò l’Italia per gli Stati Uniti, per non far ritorno in Patria — come è noto — che alla fine del fascismo e della guerra.

Poi cominciarono gli insulti. Vi furono abbondanti legnate per quelli che quella sera avevano gridato “Viva Toscanini”. Nella stampa si scrisse che in fondo Toscanini era un “maestrucolo”, si parlò di “senilità decadente”. Il “Popolo d’Italia” si domandò addirittura se Toscanini era davvero l’elemento adatto a commemorare Martucci. “L’Assalto” parlò, in tono erudito, della “fine di una estetica” e “II Carlino”, naturalmente non fu da meno e parlò di “assurda irriducibilità”. Ricordo che 1’“Avvenire” fu invece più prudente e più rispettoso verso il Maestro.

Ricordo di Mario Mancini – Nato a Budrio nel 1902. Maestro compositore. Direttore dell’UPAPO (1943-1945). Direttore del Mercato Ortofrutticolo e Segretario dell’Accademia filarmonica di Bologna. (1964).

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Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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