27 maggio 1944


Nel maggio 1944 partigiani della Stella Rossa assaltano la caserma dei carabinieri di Marzabotto.
L’operazione è organizzata allo scopo di compiere un’azione dimostrativa nei confronti dei fascisti e per ritirare la carta d’identità di Gastone Rossi, fratello del vice comandante della brigata. La squadra incaricata dell’assalto è composta da una ventina di uomini, tra i quali ci sono Giovanni (Gianni) Rossi (fratello di Gastone), tre ex prigionieri alleati unitisi alla Stella Rossa (Jock, Steeve e Hermes) e un soldato polacco che ha disertato dall’esercito tedesco (Joseph).
La caserma è presidiata dal reggente del fascio repubblicano Valentino Ventura, dal maresciallo Giuseppe Tinelli e da alcuni militi e carabinieri. Jock indossa la divisa inglese, gli altri divise fasciste.


La squadra parte nella notte del 20 maggio 1944 e quando arriva alla caserma si fa aprire da Tinelli con la scusa di dover consegnare un soldato inglese. Una volta entrato, Rossi dichiara di non essere un fascista e di volere riprendere la carta d’identità del fratello.
Il maresciallo tenta di estrarre la pistola ma viene ucciso; anche un altro carabiniere di piantone che tenta di reagire viene ucciso. Gli altri militi presenti e il reggente del fascio corrono verso il piano superiore della caserma e si gettano dalla finestra, dandosi alla fuga insieme ai militi e ai carabinieri presenti nelle camere superiori.
I partigiani ritirano la carta d’identità di Gastone Rossi, raccolgono un fucile abbandonato, lanciano alcune bombe a mano e rientrano a Brigadello.

A seguito di questa incursione le truppe nazifasciste iniziano il giorno 27 un rastrellamento nella zona per catturare i partigiani, del rastrellamento ne da notizia il giornale clandestino L’Avanti.

Marzabotto

ROGHI SUI MONTI

La stampa locale ha taciuto. Le autorità nazifasciste, mortificate, non hanno fiatato. Il vecchio prete rosso di Villa Revedin — Cardinale Nasalli Rocca — non ha masticato la solita predica, che gli sgorga spontanea dal cuore quando

cade taluno dei suoi prediletti fascisti, coi quali amoreggia da venticinque anni, a dispetto di ogni cristiano ammaestramento. La complicità morale ha speso questi silenzi eloquenti e sinistri.

Ma sui nostri monti è avvenuto un fatto orribile, che si è iniziato sabato mattina 27 maggio al rombo del cannone ed ha avuto il suo tragico epilogo, tra il bagliore di alcune decine di incendi, la sera del 30 maggio.

Ripetutamente chiamato dai nazifascisti di Marzabotto, i quali, dopo la soppressione del fascistissimo maresciallo dei carabinieri, non dormivano più i loro sonni tranquilli, malgrado avessero istituito una specie di dormitorio collettivo

nella casa del fascio, con l’ingresso guardato da una sentinella, che ogni tanto sparava colpi di moschetto e lanciava bombe a mano contro i fantasmi di partigiani creati dalla propria paura; reiteratamente chiamato, ripetiamo, dai nazifascisti locali, tutti vecchi filibustieri nominativamente noti e… schedati, che hanno antichi e nuovi conti da rendere alla giustizia comune e a quella più severa dell’antifascismo, un reparto delle S.S. tedesco si è recato in luogo, per

compiere un’azione di rastrellamento dei patriotti annidati fra i boschi della riva destra del Reno, sovrastante le località di Canovella e Panico.

E sabato 27 maggio gli abitanti della vallata furono svegliati di buon’ora dal tuono assiduo del cannone e dal crepitio della mitragliatrice, mentre i nazifascisti di Marzabotto, armati di pugnale e col tascapane colmo di bombe a

mano, facevano attenta guardia affinchè nessuno entrasse nell’abitato.

La lotta è durata quattro giorni, con sole brevi interruzioni notturne; e i tedeschi hanno conosciuto anche qui il valore dei patriotti italiani, eroicamente votati alla morte per riconquistare l’indipendenza della patria e la libertà del popolo, dopo la vergogna di venticinque anni di servilismo e di oppressione.

I militi delle S.S. hanno frugato nei boschi con le granate e con la mitraglia; ma si sono coraggiosamente astenuti dal penetrarvi, perché i patriotti si sono bravamente difesi ed hanno inflitto al nemico notevoli perdite, da questi tenute gelosamente celate.

Allora tutta la fredda ferocia dei criminali delle S.S., quella ferocia disumana, che molti di noi stentavamo a credere vera, quando la radio ci dava notizia dei suoi misfatti negli altri Paesi invasi, quali la Polonia, la Francia, la Russia, la Jugoslavia, ecc, si è manifestata in tutta la sua bieca e brutale violenza.

Martedì sera, 30 maggio, la soldataglia tedesca, briaca di vino rubato dalle cantine delle vittime designate, abbrutita da cinico furore, ha prima bombardato e poscia incendiato una quarantina di case coloniche del versante verso il Reno e di quello opposto, distruggendo tutti gli averi di quei disgraziati contadini e, in più, asportando ogni specie di bestiame e pollame, in guisa da lasciare quelle misere famiglie di umili lavoratori, composte in gran parte di donne, vecchi e bambini, senza tetto, senza viveri, senza biancheria e senza vestimento, all’infuori dei pochi cenci indossati al momento dell’inattesa sventura.

Alcuni particolari della vile e barbara azione parrebbero incredibili, se un quarto di secolo di violenze di ogni genere non ci avesse abituati a credere vero anche l’inverosimile.

In un fondo, mentre la casa bruciava e i contadini, paralizzati dal terrore, avevano trasportato sull’aia la biancheria, i panni ed i viveri, gli Unni hanno ricoperto il cumulo con paglia e lo hanno incendiato. In un altro fondo, una massaia, aiutata dai famigliari, era riuscita a portare sull’aia alcuni sacchi di biancheria, tra cui quaranta lenzuoli per il corredo delle proprie figlie: gli Unni hanno aperto i sacchi ed hanno buttato le lenzuola tra le fiamme della casa.

E non sono mancate le vittime innocenti. Una povera donna, Maria Carboni in Veggetti, madre di tre figliuoli, è morta sotto le macerie della casa, abbattuta a colpi di cannone ed i tre bambini sono rimasti feriti; ma questo spettacolo non ha intenerito gli Unni, i quali hanno obbligato il marito a sgomberare la casa dalla morta e dai bambini feriti, per poterla bruciare come le altre.

Un povero vecchio sordo, che guidava al pascolo le sue bestie, è stato abbattuto da due colpi di moschetto ed altri due sconosciuti sono rimasti uccisi.

Ma dei patriotti neppure l’ombra!

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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