15 novembre 1944 Bologna – Battaglia della Bolognina


Nelle prime ore del 15 novembre 1944 dalla base uscirono Roberto Zucchini “Ambro” e Dante Guadarelli “Rino” che avrebbero dovuto incontrare i dirigenti della brigata per discutere il futuro del gruppo. Poco dopo nella piazza arrivarono 18 mezzi corazzati, tra carri armati e autoblindo, con numerosi tedeschi e militi fascisti.

Fiorini fece uscire Mario Ventura “Sergio” con l’incarico di accertare la consistenza dello schieramento nazifascista e di riferire. Fatti pochi passi Ventura fu catturato e il giorno dopo fucilato. Poiché non sapevano se la base era stata scoperta o se i nazifascisti stavano effettuando uno dei consueti rastrellamenti, i partigiani decisero di attendere. Se attaccati, sarebbero usciti dalla parte posteriore dello stabile eavrebbero tentato di raggiungere la zona del Mercato ortofrutticolo, in via Fioravanti, parzialmente distrutto dai bombardamenti.

Alle 12,30 una pattuglia fascista penetrò nello stabile e cominciò a controllare gli appartamenti. Quando tentarono di entrare in quello occupato dai partigiani, i fascisti avvertirono che la porta era sbarrata dall’interno. La forzarono, ma furono uccisi da Fiorini e Renato Romagnoli “Italiano”. I due scesero le scale,seguiti da alcuni partigiani, mentre altri restarono e cominciarono a sparare dalle finestre.

Romagnoli attraversò alcuni giardini, diretto all’Ortofrutticolo, e lungo il tragitto affrontò e abbatté 2 tedeschi. Poi cadde e la canna del mitra si riempì di terra. Nascose le armi e, approfittando del suo aspetto giovanile e dell’abbigliamento quasi infantile, si consegnò ai fascisti dicendo di essere un abitante dello stabile. Per questo si salvò.

Edgardo Galetti “Bufalo”, anziché dirigersi verso il mercato, attraversò la strada e fu falciato dai fascisti. Stessa sorte toccò a Danilo Chiarini “Diavolo”. Amos Facchini “Joe” fu ferito mentre si allontanava dallo stabile. Dopo avere sparato l’ultimo colpo si suicidò. Nello scontro, durato poco più di un’ora, restarono uccisi Gino Comastri “Rolando” e Bruno Camellini “Slavo”. I tedeschi spararono contro lo stabile con i cannoni dei carri armati.

Restarono feriti, ma riuscirono a salvarsi, grazie all’aiuto dei compagni, Fiorini, Rossano Mazza, Franco Dal Rio “Bob”, Arrigo Brini “Volpe”, Riniero Turrini “Maresciallo” e “Toscano”. Dal Rio e “Toscano” per non cadere prigionieri, avevano tentato il suicidio sparandosi alla testa. Anche Turrini, essendo rimasto ferito, si sparò per non essere catturato, ma non morì.

Fiorini, Turrini, Mazza, Dal Rio e Brini furono portati dai compagni nell’infermeria partigiana di via Duca d’Aosta 77.

Nel corso dello scontro, un proiettile vagante colpì e uccise il passante Filippo Fazioli di 71 anno residente in via del Barroccio a Bologna.

Testimonianze

Nel 60° anniversario della battaglia Renato Romagnoli ha pubblicato la sua testimonianza della giornata con l’opera “le porte dell al di qua”.

Osvaldo Allaria. Partigiano nella 7.a Brigata GAP

Erano le 7,30 del mattino, quando Ambro (Roberto Zucchini) che svolgeva la funzione di comandante del gruppo uscì dalla base per andare da Paolo (Giovanni Martini), il vice comandante della 7a GAP, allo scopo di convincerlo a sgombrare la zona che, a nostro avviso, era malsicura. Rino (Dante Guaderelli) era partito ancora prima per occuparsi del rifornimento viveri. Ambro era appena uscito quando Barba (Secondo Negrini), scrutando dalle persiane, vide un tedesco in motocarrozzetta che stava consultando una mappa e poi ne vide altri e anche carri armati e autoblinde che stavano avvicinandosi, e dietro una lunga colonna di repubblichini e di tedeschi. Non capimmo subito che si stava per iniziare un rastrellamento e lo comprendemmo solo quando uomini e mezzi, inoltrandosi nel quartiere, presero posizione trincerandosi nei quadrivi stradali.

Eravamo solo in diciassette, contro centinaia di uomini in assetto di guerra con tutte le specie d’armi, compresi diciotto mezzi blindati. Questo era il problema da risolvere. Cominciammo a discutere sul modo di venir fuori da quella situazione quasi disperata nel caso fossimo stati scoperti e costretti a combattere. Qualcuno propose anche di attaccare, ma era una follia. Ci disponemmo alle finestre delle due camere che davano sulla piazza e a quella della cucina che guardava sul retro, poi puntellammo la porta con due travi. I tedeschi e i fascisti frattanto completavano l’accerchiamento dell’isolato.

Il tempo cominciava a passare. Decidemmo di mandare fuori Sergio (Mario Ventura), che era disarmato, per vedere cosa stava realmente accadendo. Verso le dieci, un gruppo di tedeschi e fascisti si avvicinò, dalla parte del cortile, alla casa.

Fra di loro vi erano alcuni borghesi prigionieri e vedemmo anche Sergio, che sarà fucilato in seguito. Cominciammo allora a distruggere tutte le carte che avevamo con noi. Poi Primo (Ardilio Fiorini) si accorse che i fascisti stavano salendo le scale, sfondando le porte. Sentimmo una voce dire, in bolognese, che la nostra porta doveva essere puntellata perché non cedeva alle spallate. Cominciarono a battere con un piccone finché la trave cedette e allora entrarono nel corridoio.

Primo sparò una lunga raffica, alcuni fascisti caddero, altri fuggirono per le scale.

Da questo momento cominciò la sparatoria, nelle scale, nella piazza, nel cortile interno : il conflitto a fuoco durò circa un’ora, da mezzogiorno all’una, e nell’intento di eliminarci al più presto i tedeschi usarono subito tutte le armi a disposizione e specie le mitragliere pesanti delle autoblinde.

Primo ed Italiano (Renato Romagnoli) cominciarono a scendere le scale, applicando il piano di ritirata che prevedeva lo sganciamento, passando all’interno fra i fabbricati nei giardini di divisione, tentando di raggiungere la zona fuori del rastrellamento e disperderci nella campagna dietro il mercato ortofrutticolo. Non tutti però fecero altrettanto, si aprirono le finestre e da quelle si sparò nella piazza.

Ben presto Rolando (Gino Comastri) fu colpito a morte, mentre Volpe (Arrigo Brini) e Maresciallo (Riniero Turrini) rimasero gravemente feriti. Mentre usciva dall’appartamento, Slavo (Bruno Camellini) venne colpito a morte da un fascista, forse ferito, che si era nascosto nell’appartamento a fianco del nostro e che noi finimmo a raffiche per poter attuare la sortita.

Intanto, da basso, a pianterreno, sulla porta che dava nella piazza, era morto Daniele Chiarini, mentre Primo e Mazza erano stati feriti gravemente dallo scoppio ravvicinato di una bomba a mano. Appena in cantina ci accorgemmo che, sotto i colpi di cannone dei carri armati, stavano crollando le scale che avevamo appena disceso. Ci aprimmo la strada nel cortile, abbattendo alcuni tedeschi che erano a tiro e poi portammo i feriti in un capannone e li nascondemmo come meglio potemmo. Poi cercammo una strada verso il mercato ortofrutticolo e nella corsa per sopravvivere, Edgardo Galletti fu subito colpito mortalmente dalle raffiche di mitraglia, mentre Joe (Amos Facchini) che aveva la divisa da poliziotto, fu scambiato dai fascisti per uno dei loro per cui riuscì a proseguire per un lungo tratto; poi, forse perché chiamato, si voltò, sparò, ne uccise qualcuno, ma non tutti, e allora, colpito, si riparò fra le macerie, capì subito che non ce l’avrebbe fatta e così, finite le munizioni, si sparò un colpo alla testa.

Io continuai fra una selva di pallottole che mi strisciavano attorno e quando non ne potei più mi buttai a terra, fingendomi morto. Per un momento la sparatoria cessò e io allora ripresi la corsa, infilai una porta, salii in una soffitta di una casa semidistrutta dalle bombe. Vi restai otto ore. Fuori sentivo che stavano frugando e cercandomi dappertutto. Solo dopo le otto di sera potei rientrare a casa.

Mia madre, spaventata nel vedermi in quello stato, mi chiese cos’era successo, voleva sapere. Ma io mangiai un po’ e non dissi nulla; nella mia mente c’era il terrore nel pensare a quello che era certo accaduto, ai morti, ai feriti, agli altri compagni.

Seppi dopo, molto più tardi, della sorte dei compagni. Solo in cinque eravamo riusciti a restare incolumi: Io, Barba, Gallo (Giovanni Galletti), il siciliano (Salvatore Calogero) e Italiano. Quest’ultimo, dopo aver ucciso un tedesco, si presentò, fingendosi spaurito, ai repubblichini i quali, visto che aveva la faccia da bambino, lo protessero e gli fecero anche coraggio.

Si salvarono anche i feriti. Primo e Mazza da soli, mentre Volpe, il Maresciallo, nonché Bob (Franco Dal Rio), che si era sparato per non cadere vivo nelle mani del nemico, furono salvi grazie all’intervento di Barba, Gallo e del siciliano. Anche il Toscano (non ne conosco l’identità), mi dissero che era morto. Infatti, vistosi in condizioni disperate aveva aperto il libro delle preghiere, letto l’« Ave Maria », e poi si era sparato alla testa per non cadere prigioniero. Poi si accorse che non era morto, si ricordò, essendo stato in Africa,, che gli Abissini curavano le ferite d’arma da fuoco tappandosi i buchi con della terra, così fece e si salvò. Ma questo l’abbiamo imparato, solo a liberazione avvenuta.

La battaglia della Bolognina era finita.

Jacopo” Aldo Cucchi– Commissario Politico 7ª G.A.P.

Il 15 novembre 1944, verso le sette del mattino, mentre sto arrivando in piazza dell’Unità, nel quartiere della Bolognina, assieme a Luigi, Comandante della 7ª Brigata Garibaldi (G.A.P.) « Gianni », sento dietro di me un gran rumore di ferraglie in movimento, mi volto e, nel medesimo istante, sono sorpassato da – una fila di carri armati tedeschi.

Io e Luigi ci ritiriamo sotto il portico che fiancheggia la strada e li contiamo: sono sedici.

Seguono alcuni autocarri zeppi di SS in assetto di guerra e, da ultimo, un’automobile lucente con a bordo il capo delle SS e dell’SD di Bologna, nostra vecchia conoscenza.

Crediamo opportuno proseguire il cammino per vedere quali sono i propositi del nemico. Giunti in piazza dell’Unità ci rendiamo subito conto della situazione. I carri armati ed i soldati tedeschi hanno circondato tutto il quartiere del1a Bolognina e si accingono a rastrellarlo.

Ci si chiude la gola dall’angoscia: diciassette nostri gappisti hanno la loro « base » proprio in quella casa di piazza dell’Unità che è lì in faccia a noi, che potremmo raggiungere in due minuti, ma dalla quale ci divide invece un’insuperabile barriera di armi ostili. Noi siamo ancora nella vita, essi sono sulla soglia della morte.

Dò un’occhiata a Luigi, ci comprendiamo senza parlare e scantoniamo per una via laterale, eravamo gli unici due borghesi che fossero rimasti nella piazza.

Dopo pochi minuti incontriamo Ambro, Comandante del distaccamento accerchiato, che era uscito un poco prima delle sette per servizio, ed Ernesto, Vicecomandante delle formazioni sappiste, e facciamo, un breve consiglio di guerra Ambro si installerà in un casa vicina e sorveglierà lo sviluppo degli avvenimenti, tenendosi collegato con noi per mezzo di una staffetta, Ernesto darà l’allarme ai sappisti, poi ci raggiungerà in via Falegnami, a casa di un compagno, dove, per quel giorno, funzionerà il Comando della Brigata.

Per strade secondarie ci avviamo verso via Falegnami, nell’attraversare via Indipendenza incrociamo grossi reparti di brigate nere, che si dirigono verso piazza dell’Unità. Tendiamo l’orecchio, ma non si sente sparare. Nasce in noi una speranza: e se non li trovassero?

Diamo le tre suonate convenzionali di campanello ed entriamo nella casa dove troviamo il compagno Brando, che ci deve ospitare, molto agitato perchè ha saputo dell’accerchiamento.

Poco dopo arriva Ernesto con il Comandante dei sappisti, Giacomino, e con il Vicecomandante della 7ª G.A.P., Paolo.

Siamo al completo e discutiamo per concretare un piano. La sproporzione fra le nostre forze e quelle nemiche è enorme, un attacco da parte di tutti i nostri uomini alla Bolognina dove l’avversario è già piazzato, potrebbe risolversi in un disastro, riteniamo più opportuno fare un paio di assalti di diversione alle caserme nazi-fasciste che si trovano nei quartieri opposti della città.

Su questi punti siamo tutti d’accordo; Giacomino ed Ernesto terranno i loro sappisti su piede di combattimento e Paolo mobiliterà i gappisti si stabilisce anzi di incontrarci con i capi gruppo più influenti e coraggiosi della G.A.P. da Nazzaro, in Via Ca’ Selvatica; alle quattordici, rientrando poi subito al Comando di via Falegnami, dopo esserci intesi con loro.

Poichè le staffette, che ogni mezz’ora ci portano le notizie della Bolognina, ci riferiscono che ancora non è stato ingaggiato combattimento, Luigi andrà a mettere al corrente della situazione e dei nostri piani il Comandante Generale Dario, mentre io mi recherò dal tecnico Pietro per avvertirlo che tenga pronti tutti gli ordigni esplosivi necessari ad un attacco.

Qualche minuto prima delle quattordici imbocco via Nosadella, per recarmi all’appuntamento in Ca’ Selvatica, ed osservo parecchi militi delle brigate nere fermi sull’ingresso di un’osteria. Hanno il mitra sulla spalla e parlano fra di loro ridendo, guardandoli mi sento un poco a disagio; ad ogni modo proseguo ed entro con molta circospezione nel luogo stabilito. Trovo riuniti, nella piccola cucina di Nazzaro, dodici uomini, parte seduti sul tavolo, parte sulla madia, alcuni sulle sedie. Quasi non ci si muove.

Si è appena incominciato a discutere quando si sente un nutrito fuoco di fucileria tutt’attorno alla casa. Ci guardiamo in faccia.

« Questa è una spiata, dice qualcuno, sìamo circondati ».

Nazzaro va alla finestra a vedere, per ora i militi bloccano l’uscita della nostra casa per via S. Caterina, mentre lasciano libera quella per via Ca’ Selvatica. Riteniamo opportuno allontanarci per questa strada.

Io e Giacomo usciamo per primi, gli altri attendono l’esito del nostro tentativo. Nazzaro ci accompagna fino sulla porta. Fatti pochi passi sentiamo che ci gridano: alto là! Facciamo gli indifferenti e continuiamo a camminare. Ci sparano dietro alcuni colpi di mitra, allora ci voltiamo, un milite delle brigate nere ci raggiunge urlando: voi due, proprio voi due! Col mitra spianato ci spinge innanzi a sè ed ha una faccia poco rassicurante. Guardo Giacomo, è diventato pallido, certamente lo sarò diventato anch’io.

Nel percorrere i cinquanta metri che ci separano dall’angolo di via Santa Caterina il mio spirito è percorso come da un uragano di pensieri che si accavallano: la morte certa fra torture, la moglie ed i figli che resteranno soli, i diciassette compagni della Bolognina per cui nulla si potrà fare, gli altri compagni che ancora sono da Nazzaro.

All’angolo di via Santa Caterina ci fermiamo di fronte ad un caporale delle brigate nere che ci osserva con uno sguardo piuttosto ottuso e ci dice: « appoggiatevi al muro ».

Penso che la procedura è un poco sommaria, ma del resto è meglio così, si evitano interrogatori e torture.

Rimaniamo con le spalle al muro qualche, minuto e vediamo parecchi briganti neri che corrono su e giù per la strada, sparando ed urlando, sembra però che non entrino nelle case.

Il caporale si avvicina, io e Giacomo non abbiamo scambiato una parola, dobbiamo fingere di non conoscerci, del resto io non so il suo vero nome, così come egli ignora il mio.

Il caporale si rivolge a me e chiede: « documenti! ».

Mi accorgo allora che è un toscano e, portando la mano alla tasca interna della giacca per estrarre una tessera con molti timbri falsi delle SS, penso che a Bologna i fascisti toscani hanno fama essere molto cattivi. Allungo il documento, il caporale lo rigira fra le mani con occhio assente, ho l’impressione che sia analfabeta, voglio aiutarlo e dico: « vede io sono medico ». « Ah, risponde lui, siete medico? ». Rigira di nuovo il cartoncino fra le mani, fissa lo sguardo attentamente sui timbri, forse gli piacciono tutte quelle aquile tedesche dalle ali aperte, lentamente me lo restituisce, mi osserva ancora un poco e poi ordina: « andate! ».

Ho conservato un sufficiente dominio di me stesso per comprendere il significato di quella parola ìnattesa e per eseguire 1’ordine ricevuto.

Me ne vado salutando; dopo pochi passi mi raggiunge Giacomo, anche lui libero. Gli dico che ha fatto presto, mi risponde che i suoi documenti hanno meno timbri. Abbiamo avuto lo stesso pensiero sulle predilezioni estetiche del nostro inquisitore.

Arriviamo all’angolo di via Nosadella ed entriamo in un caffè, ci preoccupa la sorte dei compagni rimasti da Nazzaro.

Dopo un quarto d’ora passano circa cinquanta individui rastrellati con la scorta dei militi delle brigate nere, comandati dal nostro caporale. Fra i rastrellati i compagni non ci sono, tutto non va per il peggio.

Con un lungo giro ritorniamo in via dei Falegnami e troviamo riuniti i due Comandanti sappisti con Luigi, Paolo e Mario, del Comando Unico; ormai sono le sedici, la staffetta della Bolognina ci informa che dalle tredici alle quindici si è svolto un combattimento.

I nostri, attaccati con le cannonate dei carri armati e con le raffiche delle mitragliatrici, hanno risposto con le loro armi leggere, tenendo testa al nemico per un paio d’ore, però alle quindici il fuoco è cessato e dalla nostra base non si dà più segno di vita.

Bisogna subito accertarsi della sorte dei diciassette, ormai i progettati attacchi di diversione sono inutili.

Paolo e Luigi, che erano con noi in via Ca’ Selvatica, ci assicurano, che anche tutti gli altri gappisti del gruppo sono salvi, hanno lasciato passare il rastrellamento e poi sono usciti.

Ma dei diciassette nulla si sa.

Mentre Paolo si reca da Ambro, io e Luigi, raggiungiamo la casa di Bertocchi, in via del Carso, dove c’è il Comando segreto e stabile della Brigata. Vi giungiamo che incomincia a farsi sera, naturalmente non c’è alcuno, tranne la ragazza che la custodisce. Ci sediamo vicino alla stufa, senza parlare, in attesa di qualche staffetta che ci porti notizie.

Dopo un certo tempo arriva la Stella.

« Cosa c’è di nuovo? » chiediamo.

La Stella ha visto Italiano (della « base » accerchiata) e ci racconta come si sono svolti gli avvenimenti.

Al mattino, quando i ragazzi si sono visti circondare da forze così imponenti si sono un po’ scoraggiati, poi, constatato che nulla accadeva, hanno barricata la porta dell’appartamento ed hanno stabilito che se fossero stati scoperti, avrebbero tentato di raggiungere, attraverso alcune cantine, le macerie del mercato ortofrutticolo, dove era facile occultarsi e di dove era possibile uscire, senza esser visti, dal cerchio nemico. Solo Sergio si portò sulla strada disarmato per esaminare la situazione e venne fatto prigioniero (il giorno dopo sarà fucilato).

Gli altri rimanevano in silenzio al loro posto. Alle tredici due militi cominciavano ad ispezionare l’edificio dove si trovava la nostra « base », giunti davanti alla porta che le dava accesso, tentavano di aprirla, ma, siccome resisteva ai loro sforzi, salivano al piano superiore. Nello scendere si accanivano di nuovo contro la porta del nostro appartamento e riuscivano a forzarla, ma venivano investiti dalle raffiche di Italiano e di Primo, che erano appostati, e rimanevano uccisi.

Italiano secondo il piano stabilito, si buttava fuori e, attraverso le cantine, raggiungeva il mercato ortofrutticolo, dove incontrava un tedesco in esplorazione e lo eliminava. Nel saltare il muretto, la canna del mitra gli si riempiva di terra, perciò occultava l’arma e scendeva nella strada. Anch’egli veniva catturato dai tedeschi, ma rilasciato poco dopo perchè ritenuto un ragazzetto, intatti aveva diciassette anni, ma ne dimostrava quattordici.

Gli altri quindici gappisti rimanevano nella « base » contro cui cominciava il fuoco infernale dei cannoncini dei carri armati e delle mitragliatrici, i nostri rispondevano con tutti i mezzi a loro disposizione fra un turbinio di scheggie e di calcinacci. Tedeschi e fascisti non si decidevano però mai a venire all’attacco, qualche tentativo appena abbozzato finiva miseramente, con dieci morti, per l’avversario.

Verso le quindici i nostri, già scarsi di munizioni, stabilivano di cessare il fuoco e di attuare il piano concordato al mattino.

Cinque erano i morti e cinque i feriti. I cinque superstiti illesi, aiutando i compagni feriti, scendevano nelle cantine, raggiungendo le macerie del mercato ortofrutticolo, dove si occultavano, aspettando l’oscurità. Scesa la sera riuscivano a portarsi alla casa in cui si trovava Ambro.

« Ormai, conclude la Stella, si tratta di mobilitare i medici e gli automezzi e di trasportare i feriti all’infermeria ».

Per approfondimenti le porte dell al di qua di Renato Romagnoli

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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