Nardi Giovanni (Nome di battaglia Caio)


Nasce il 10 aprile 1923 a Riolo Terme (RA). Studente dell’Istituto magistrale, è uno dei giovani imolesi che con Francesco Sangiorgi, a cui fu legato da una profonda amicizia, da una comunanza di ideali e posizioni politiche – entrambi comunisti -, entra a far parte del gruppo intellettuale di Imola.

Già nella primavera del 1943, incurante delle ritorsioni fasciste, manifesta le sue idee “con un entusiasmo che non conosceva limiti” nei caffè, nei posti di lavoro, nella scuola. Dopo l’8 settembre 1943 fa parte della Guardia Nazionale e con Franco Franchini recupera le armi abbandonate nella caserma Della Volpe.

Il 18 settembre 1943 con Sangiorgi Ercole ed Ugo Giovannini, Oliano Landi, Bruno Pirazzoli, contravvenendo alle direttive del Partito Comunista Italiano imolese, raggiuge le formazioni partigiane operanti in Istria.

Rientrato ad Imola nell’ottobre, nonostante la tragica esperienza vissuta sulla Dolina in cui trovarono la morte tutti i suoi compagni, escluso Pirazzoli, riprende il suo lavoro politico e militare riallacciando i contatti con i dirigenti del Partito Comunista, discutendo con gli amici sulla necessità di impegnarsi nella lotta di liberazione, tessendo le fila per costituire in montagna un gruppo partigiano.

Instancabile, “dotato di una straordinaria capacità persuasiva”, riusce a coinvolgere nella sua impresa anche gli anziani genitori, si batte senza pause “per una causa sentita con fede sconfinata” perché avverte la responsabilità “di guidare, aiutare tanti giovani, tanti fratelli, a cui doveva far capire tante cose che altrimenti non avrebbero capito”. In contatto con Antonio Morini di Riolo Terme, tramite il veterinario Bertozzi di Conselice (RA), apprende che a Cortecchio (Castel del Rio) nella casa disabitata L’Albergo è alloggiato un gruppo di bolognesi.

Il 10 novembre 1943 raggiunge i giovani recando vitto ed armi. Il 20 novembre 1943, Andrea Gualandi assume il comando di questo primo nucleo, mentre Nardi s’impegna a mantenere i collegamenti con Imola e continua nella sua opera di proselitismo fra i giovani.

Svolge egregiamente il suo lavoro, sorretto anche dal comitato del partito, tanto che dopo circa venti giorni un gruppo di 30 giovani provenienti da Conselice, Riolo Terme, Massa Lombarda (RA), approda all’Albergo.

Affabile, allegro, riusce ad accattivarsi la simpatia del gruppo. Con una battuta scherzosa riesce a sdrammatizzare i momenti di tensione. Nella sua breve ma intensa attività, inculca nei giovani responsabilità e disciplina; cura la loro formazione culturale e politica, attraverso la discussione e la lettura; si preoccupa di guadagnare al movimento partigiano la simpatia e l’amicizia dei montanari.

Nel dicembre 1943, mentre il primo gruppo si portava sul Falterona, continua a radunare all’Albergo, divenuta base di concentramento e di formazione, altri giovani tra cui Graziano Zappi “Mirko” e Luigi Tinti “Bob” con il quale condivide il comando di questo secondo gruppo.

Nel febbraio 1944, impossibilitati a trasferirsi sul Falterona, per le abbondanti nevicate, per lo scarso equipaggiamento, dopo il rastrellamento di Cortecchio del 22 febbraio 1944, l’attività viene temporaneamente sospesa e ripresa nel marzo quando con Tinti guida il trasferimento sul Falterona dove il gruppo si aggrega all’8ª brg Garibaldi.

Dopo l’offensiva nazifascista del 12 aprile 1944 che sconvolge il grande concentramento partigiano, guida il rientro del suo gruppo nelle valli del Santerno e del Senio. Il 20 aprile 1944 giunge alla Dogana dove si è costituita la 4ª brg, poi 36ª brg Bianconcini Garibaldi, ed assume il comando di una compagnia operante nella zona compresa tra Riolo Terme e Imola.

Uscito in missione con un gruppo di sette uomini, l’8 maggio 1944 avrebbe dovuto far ritorno alla Bastia. Il 10 maggio 1944, mentre è in marcia di trasferimento da Monte Faggiola al Cimone della Bastia, incappa a Casetta di Tiara nella colonna fascista salita da Firenzuola (FI) per il rastrellamento sul Carzolano. Dopo aver ingaggiato il combattimento, nel corso del quale tutti i suoi compagni muoiono, è ucciso e pugnalato al collo. I corpi sono recuperati dal parroco don Remolo Cinelli e ricomposti nel cimitero della chiesa.

Gli è stata conferita la medaglia d’argento con la seguente motivazione:

“Valoroso ed eroico combattente, fra i primi organizzatori del locale Movimento Partigiano, veniva per i suoi meriti eletto Comandante di compagnia. Sorpreso con pochi compagni in una imboscata tesa dal nemico, accettava l’impari lotta e dopo aver lanciato l’ultima bomba a mano, cadeva gloriosamente colpito al petto».

Casetta di Tiara – Firenzuola, 10 maggio 1944.

Il ricordo di sua madre Maria Dal Pozzo. Partigiana nella 36a Brigata Garibaldi

Io sono diventata partigiana senza saperlo. E, sempre senza saperlo, ho lavorato per la nascita della 4a Brigata Garibaldi quando si dovevano fare le prime basi sulla Faggiola e mio figlio Giovanni fu uno dei primi imolesi diventati partigiani, deciso a non aspettare la primavera per iniziare la lotta armata. Mio figlio lo chiamavano Caio: nel 1943 aveva vent’anni e studiava. Io però non sapevo, allora, quello che mio figlio stava facendo.

Lui mi diceva: «Mamma, ho bisogno di voi; mi dovete aiutare e non chiedetemi tanto. Cercate solo di fare quello che vi dico: andate dalla famiglia che vi dirò, prendete con voi la carriola, non c’è bisogno di parlare. Dite solo che siete la mamma di Giovanni. Basterà per capire tutto. Prendete ciò che vi danno, portatelo a casa e babbo penserà a farci avere la roba, lassù. Mi raccomando, non tenete niente di ciò che vi danno, anzi ne dovete aggiungere di più di quello che vi verrà consegnato».

Infatti io mandai su una coperta grande da letto, un paiolo nuovo, dei tegami, pentole, cucchiai e lui mi diceva: «Abbiamo tanto bisogno di tutto, noi, quassù. Dobbiamo mettere su casa, non è che si possa andare in prestito dai contadini della montagna: poveretti, sono sprovvisti di tutto».

E così io, nell’inverno 1943 sono andata da un posto all’altro a prendere fagotti, sporte che contenevano indumenti, viveri, patate, fagioli, pasta, a volte anche armi. Ho ricoverato dei ragazzi per delle giornate, mentre erano in attesa di proseguire per la montagna verso posti che però io non conoscevo. Ricordo che una sera vennero dei compagni di mio figlio, portarono un sacco di ricci, lo misero sotto al camino dicendomi di lasciarli lì che potevano servire per il fuoco. Ma fra i ricci vi erano delle armi e quando il carico fu completo mio marito si fece prestare una somarella e la notte mi fece alzare per caricare tutto e io, oltre ad aiutare per il carico, tenevo stretta la somarella.

Ricordo che una notte la somarella ci scappò e dovemmo correre parecchio per riprenderla: poveretta, aveva anch’essa un somarino appena nato nella sua stalla e forse era impaziente di andare a vederlo!

Mio marito partiva col suo somaro carico, andava su per la strada di Riolo, pian piano, e dopo Riolo incontrava una staffetta, che generalmente era un vecchio del luogo, e allora lasciavano la strada e andavano su per i sentieri fino alla casa dei primi partigiani: lo seppi dopo che era una casa abbandonata, sotto la «dogana», che si chiamava «Albergo». Là c’era mio figlio e già tanti altri, tutti molto giovani come lui, e anche dei ragazzi. Poi mio marito ritornava indietro e dopo qualche giorno ripartiva ancora.

Una volta andò via con dei fucili sotto alle fascine e dopo Riolo tutto il carico cadde nel fosso, e passò un brutto momento perché c’erano dei fascisti, ma fortunatamente andò bene.

Lassù, all’«Albergo», venne presto la neve alta e poi anche un combattimento contro i fascisti alla fine di febbraio 1944. Mio figlio era da quelle parti, si salvò e subito, insieme agli altri, cercò un’altra casa per ricominciare. Nello scontro all’«Albergo», però, due giovani erano morti. Io e mio marito, senza sapere niente, continuavamo a fare il solito lavoro.

Ma il 10 maggio fu l’ultimo giorno di Caio. Dopo avere occupato Firenzuola, i partigiani si divisero in due gruppi: uno comandato da Bob e uno da mio figlio. Bob giunse puntuale al comando; il gruppo di mio figlio invece finì in mezzo a un’imboscata dei fascisti, presso una casa chiamata l’Otro: combatterono fino all’ultimo e morirono tutti. Mio figlio aveva ventun anni e un mese.

Passò molto tempo prima di avere la notizia sicura della sua morte. Prima mi arrivarono delle voci terribili, ma io speravo sempre. E ormai sapevo quello che stavo facendo e quello che dovevo fare. Anch’io e mio marito abbiamo fatto qualcosa, niente però rispetto al nostro Caio, per la nascita della 4a Brigata.

Poi partecipai anche agli scioperi e alle manifestazioni di donne a Imola ed ero anch’io in piazza, il 29 aprile 1944, quando i fascisti uccisero la Zanotti, che cadde vicino a me, e ferirono a morte la Venturini. La Zanotti era vedova e aveva un figlio. La Venturini morì dopo due settimane di atroci sofferenze.

Il ricordo di Nardi da parte di Cleto Sangiorgi partigiano nella 36a Brigata Garibaldi

La prima base di partigiani armati nella linea Gotica fu fissata nel pieno inverno 1943 in un casolare del monte Faggiola, denominato «Albergo», da tempo abbandonato dai contadini perché lassù v’era solo della miseria. Un po’ alla volta confluirono in quel casolare gruppetti di partigiani e verso metà febbraio eravamo già in venti, al comando di Caio (Giovanni Nardi). Pur essendo molto giovane, Caio era il più maturo fra tutti noi, quello che aveva le idee più chiare: si era già distinto a Imola nell’organizzazione delle prime attività della Resistenza e per lui quel primo gruppo dell’«Albergo» doveva essere il punto di partenza e di formazione di un vasto movimento armato. Nessuno di noi in quel momento si rendeva evidentemente conto che quell’operazione rappresentava il primo atto di un inserimento partigiano in quella che sarebbe poi diventata la linea Gotica.

Oltre a Caio, ricordo Teo (Orlando Rampolli) e il vecchio Cavalli. Ricordo le vivaci discussioni quando Teo sbraitava perché le armi erano vecchie e logore, le munizioni scarse ed inefficienti e Caio ribatteva che quello che contava, per il momento, non erano tanto le armi quanto la volontà e la decisione di fare il partigiano. Presto, diceva Caio, giungeranno armi nuove, munizioni asciutte e andremo tutti sul Falterona. Caio ci aveva portati ad un tale stato d’entusiasmo per ciò che rappresentavamo e che stavamo facendo che quando venne l’attacco fascista nessuno ebbe paura, benché sapessimo di essere enormemente inferiori in numero e in armi. Rispondemmo ai fascisti coscientemente, convinti che fosse l’unica cosa da fare.

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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