Silvino Folloni (Nome di battaglia Primo)


Nasce a Fabbrico (Reggio Emilia) nel 1920.

Dal 1942, presta servizio militare nell’80° Reggimento fanteria. Subito dopo l’armistizio del settembre 1943 entra nella 64.a Brigata Garibaldi “Gramsci”.

Nella battaglia di Benevello il 5 novembre 1944 mentre tenta di spezzare l’accerchiamento nemico viene colpito a morte.

Gli è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione:

Combattente di eccezionale ardimento, in un lungo ciclo operativo della lotta partigiana dava costanti prove di coraggio e sereno sprezzo del pericolo. In una azione di rastrellamento condotta dai nazifascisti con forze preponderanti, sebbene ammalato, si poneva alla testa dei suoi uomini che guidava all’assalto con slancio e perizia. Dopo otto ore di duri combattimenti, esausto e bruciato dalla febbre, continuava imperterrito nella lotta galvanizzando con il suo eroico comportamento i propri uomini. Accerchiato da forze avversarie, anziché retrocedere, si slanciava, con scatto irresistibile, contro il nemico, finché ferito mortalmente faceva olocausto della sua giovane vita in difesa della libertà d’Italia. Sublime esempio di eccezionale ardimento“.

Il ricordo di Osvaldo Clò partigiano nella Divisione Modena 

La mattina del 5 novembre, verso le 7, fui svegliato dai partigiani di guardia che mi avvertirono che i tedeschi stavano avanzando con una colonna appiedata verso le nostre posizioni e che nella strada vi era un forte movimento di automezzi. Ci rendemmo subito conto che la nostra situazione non era certo la migliore e prendemmo subito posizione, scaglionati in diverse direzioni. Io mi piazzai sopra un monticello di fronte al paese di Benedello dove una colonna di nemici, fiancheggiando il paese, si stava avvicinando. I tedeschi procedevano in fila indiana e noi li sorvegliavamo appostati dietro un mucchio di sassi, quelli che generalmente si trovano ai lati delle mulattiere.

Appostati dietro a questo muro di sassi ci preparavamo ad attaccare e, nell’attesa, udivamo in altre parti della zona violente sparatorie. Quando la colonna nemica ci fu quasi di fronte, credo a non più di 150-200 metri di distanza, noi aprimmo il fuoco con mitraglie e fucili e si videro i primi tedeschi cadere; ma subito udimmo ordini secchi e pochi minuti dopo i nazisti ci bersagliarono con mitragliere pesanti. Lo scontro durò per circa un’ora e poi fummo costretti a ripiegare e mentre camminavamo udivamo spari da diverse parti della zona: erano scontri a volte molto violenti e capimmo ancora meglio che eravamo circondati.

I comandanti diedero l’ordine di raggrupparci tutti assieme in una zona che ci potesse dare la possibilità di resistere fino a sera perchè con l’oscurità sapevamo che i nazisti si sarebbero ritirati per paura di nostre imboscate. Scendemmo in basso, verso il fiume Panaro, in una zona chiamata la bonifica dove trovammo il terreno più adatto per una resistenza ad oltranza. Ci piazzammo a semicerchio in attesa dell’attacco dei tedeschi.

Noi eravamo disposti così: di fronte avevamo Benedello, paese che dà il nome al monte alla nostra sinistra, la carrozzabile che da Pavullo scende a Ponte Ranocchio, alla destra la strada che da Marano sul Panaro porta alla strada Giardini, cioè la serpentina alle spalle, il fiume Panaro in piena a poche centinaia di metri e più a monte vi era il Ponte Samone dove i nazisti avevano piazzato mitragliere da 20 mm. pronte ad entrare in azione se qualche partigiano avesse tentato di attraversare il fiume. Perciò credo di non esagerare se dico che la nostra situazione era disperata, la parola d’ordine era quella di resistere ad ogni costo.

La nostra forza era di circa 700-800 uomini già sperimentati in diverse occasioni perchè avevano combattuto in diverse battaglie nella zona di Montefiorino. La forza nemica era di circa 3.000 soldati tra tedeschi e brigate nere; oltre alla superiorità numerica avevano anche l’armamento superiore al nostro, non solo come quantità, ma anche come qualità, disponendo di armi pesanti. Non ricordo più che ora fosse — forse le 11 o le 12 — quando cominciammo a vedere i tedeschi che si avvicinavano, poi si disposero attorno alle nostre posizioni e ad un tratto sentimmo squilli di tromba: era il segnale di attacco e i tedeschi cominciarono ad avanzare protetti da un intenso fuoco di armi pesanti.

Lo scontro fu violento: il nemico arrivò fino a poche decine di metri dalle nostre posizioni, ma fu falciato dal violento fuoco delle nostre armi e fu costretto a ripiegare lasciando sul terreno diversi morti. La nostra speranza di averli per un bel po’ allontanati dopo l’insuccesso del primo assalto durò poco e i tedeschi presto lanciarono un secondo e più violento attacco. Ricordo che lo scontro fu di tale violenza che in certi punti la distanza dei nazisti dalle nostre postazioni era appena di pochi metri; ma anche questo assalto fallì e furono costretti di nuovo a ripiegare sulle posizioni di partenza, lasciando sul terreno più uomini che nel primo attacco. Anche da parte nostra però avemmo numerose perdite.

Credo di non sbagliare nel dire che i tedeschi ritenevano di averci già tutti nelle loro mani, perchè dopo questo secondo attacco continuarono ad attaccarci da tutte le parti con violenza inaudita; le perdite nemiche si facevano sempre più pesanti e in mezzo alle nostre fila si contavano già diversi morti e feriti. Durante questi attacchi i tedeschi ci urlavano di arrenderci e noi, per tutta risposta, gridavamo viva l’Italia e sparavamo raffiche di mitraglia. Si udivano molte voci di partigiani che gridavano veniteci a prendere.

I comandanti, da Fulmine a tutti gli altri, andavano nei vari posti per dare ordini e man forte dove più ce n’era bisogno. Al centro del perimetro da noi tenuto si raggruppavano i feriti più gravi per le cure del caso. Voglio ricordare le partigiane che curavano i nostri feriti, le quali si prodigarono tutto il giorno per alleviare le sofferenze dei compagni colpiti durante la battaglia.

Lo scontro continuava senza soste con sempre maggiore violenza: i tedeschi continuavano ad attaccarci sperando nella nostra resa. In uno di questi furibondi attacchi vidi Silvino Folloni (Primo) vice comandante della Brigata Gramsci, alzarsi in piedi impugnando un fucile mitragliatore, sparando contro il nemico gridavano viva l’Italia, fuori lo straniero, Forza garibaldini, all’attacco. In quel momento una raffica di mitraglia colpì a morte il valoroso Primo uccidendolo.

Per questo suo gesto a Primo fu conferita la medaglia d’oro. Le grida da parte nostra aumentarono all’indirizzo dei nazi-fascisti. Ognuno guidava parole di incoraggiamento, ma anche insulti come Assassini!, Traditori.

Col passare del tempo la pressione tedesca diminuì. Era un buon segno: le gravi perdite che avevano subito durante gli assalti, la nostra sicurezza nel respingere ogni azione nemica li aveva forse consigliati a non sottovalutarci; ormai era da diverse ore che si combatteva accanitamente e la sera cominciava a calare. Da quel momento capimmo che forse ce l’avremmo fatta poiché, come ho già detto, l’oscurità era nostra amica: infatti, dopo altri scontri isolati nella zona, calò il silenzio e noi restammo ancora per un po’ di tempo in posizione, poi raccogliemmo le nostre cose e mettemmo i feriti più gravi su delle barelle e molti altri sui muli e ci mettemmo in cammino verso Monte Specchio. Doveva essere una marcia di trasferimento verso Bologna dove avremmo dovuto partecipare alla liberazione della città, ma a causa di quei fatti di Bologna non si sarebbe più parlato, perchè, oltre a diverse decine di morti e altrettanti di feriti, eravamo rimasti quasi senza munizioni. Infatti, alla fine della battaglia disponevamo ancora di mezz’ora di fuoco si e no. Io credo che se i tedeschi avessero conosciuto la nostra situazione avrebbero certamente continuato ad attaccarci.

Dopo avere marciato per tutta la notte, la mattina del 6 novembre arrivammo a Monte Specchio stanchi morti ed affamati. Vi trovammo Angelo, Ico e Guido che ci aspettavano e fu immenso il loro dolore nell’apprendere dai nostri racconti il numero delle nostre perdite. Durante la giornata si riunì il comando che decise che in quelle condizioni non si poteva continuare verso Bologna. Perciò l’ordine fu che si doveva attraversare il fronte.

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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