Paolo Fabbri (Nome di battaglia Palita)


Paolo Fabbri (Palita)
Paolo Fabbri Palita

Nasce il 27 luglio 1889 a Conselice (RA). Iscritto al PSI, al PSUI e al MUP. Mezzadro e commerciante. Da umile capolega contadino di Conselice diventa una delle figure più nobili e importanti del socialismo italiano e della Resistenza. Primo di dieci figli di una famiglia di mezzadri, si iscrive giovanissimo al PSI. Lasciata la terra – insufficiente per una famiglia così numerosa – diventa attivista sindacale, poi capolega e infine dirigente della Federterra e delle organizzazioni cooperative di Ravenna, sotto la sapiente guida di Gaetano Zirardini.

Nellʼottobre 1914 – dopo lʼeccidio di Guarda – viene inviato a Molinella dove assume la carica di segretario della Camera del Lavoro. Il compito affidatogli era difficilissimo e molto delicato perché è in atto una durissima reazione governativa e agraria che mira a distruggere le organizzazioni sindacali e cooperative di quel comune.

Lui doveva tenere unito e combattivo il movimento operaio e difendere le realizzazioni e le conquiste fatte. Ma dove fare tutto da solo perché era stato decapitato lʼintero gruppo dirigente del PSI e delle leghe. Giuseppe Massarenti sfuggito allʼarresto, ma si trova rifugiato nella Repubblica di S. Marino, mentre Giuseppe Bentivogli e oltre duecento tra capilega e attivisti sono in carcere. In quello stesso periodo, la segreteria della Camera del Lavoro della vicina Budrio viene affidata a Luigi Fabbri, un altro capolega proveniente da Conselice. Inizia con grande energia e capacità lʼopera che gli è stata affidata, dimostrando subito le sue non comuni doti di uomo politico e di organizzatore, ma ben presto viene chiamato alle armi e inviato al fronte.

Torna a Molinella nel 1919, con Massarenti e Bentivogli. I lavoratori di Molinella – le cui organizzazioni non sono state sconfitte dalla reazione anticontadina del 1914 – nel giugno 1919 riprendono la vertenza nel punto esatto in cui era stata interrotta dallʼeccidio di Guarda. Dopo 29 giorni di sciopero, sotto la guida di Fabbri e Bentivogli, vedeno soddisfatte tutte le richieste avanzate cinque anni prima. Quello sciopero è la prova generale di quello che nel 1920 si tiene su scala provinciale e che vede braccianti e mezzadri uniti battersi contro gli agrari.

Fautore da sempre dellʼunità tra le due categorie, anche perché è un ex mezzadro, fa parte con Bentivogli, Luigi Fabbri, Mario Piazza, Renato Tega e Giovanni Goldoni del comitato che conduce quella lotta alla vittoria, con la conquista del concordato Paglia Calda. In quegli anni ricopre anche numerosi incarichi politici.

E’ consigliere comunale di Conselice; presidente dellʼOpera pia Valeriani di Molinella e nel 1920 consigliere provinciale di Bologna.

Il 3 giugno 1921, quando è segretario della Camera del Lavoro di Molinella, viene arrestato per la sua opera di sindacalista. Nel 1922 lascia il PSI per aderire al PSUI. Divenuto, con Bentivogli, uno dei dirigenti del movimento operaio di Molinella, – dopo che i fascisti, il 12 giugno 1921, hanno dato il bando a Massarenti – viene duramente perseguitato. Nel 1923 dove rifugiarsi a Bologna e rendersi irreperibile per vario tempo perché colpito da mandato di cattura per «concorso in appropriazione indebita e delitti contro i poteri dello stato», commessi durante la lotta agraria. Nello stesso anno viene schedato. Il 2 novembre 1924 è arrestato con altri lavoratori, mentre sono riuniti nella sede della CCdL.

Nellʼottobre 1926 la sua famiglia – analogamente a quanto accade ad altre decine di famiglie socialiste – è sradicata da Molinella e costretta ad emigrare. Il 16 novembre 1926, con la definita affermazione del regime fascista, è assegnato al confino per 3 anni per «attività comunista», accusa ridicola perché è uno dei più noti dirigenti del socialismo bolognese. Arrestato il 4 maggio 1927, viene inviato a Lipari (ME). Nellʼagosto viene raggiunto nellʼisola dalla moglie Luigia Rossi e dal figlio Nevio di 13 anni. Il 28 luglio 1929 è arrestato per avere collaborato alla leggendaria fuga da Lipari, in motoscafo, di Emilio Lussu, Fausto Nitti e Carlo Rosselli. Avrebbe potuto fuggire anche lui, ma preferisce restare per favorire lʼevasione dei compagni.

Dal tribunale di Messina è condannato a 3 anni, 4 mesi e 20.000 lire di multa. Dopo aver scontato la pena nelle carceri di Saluzzo (CN) e Castelfranco Emilia (MO), torna al confino, a Ponza (LT) dove deve fare ancora otto mesi. Rientrato a Bologna il 3 settembre 1933, riprende il lavoro politico per riorganizzare la resistenza al fascismo. La cosa è subito rilevata dalla polizia che, in un rapporto del 1934, scrive che lui «ed altri sovversivi di altre città svolgerebbero attività sovversiva».

In effetti con Domenico Viotto – un socialista di Milano conosciuto al confino – ha aperto in via Rialto 44 unʼazienda di detersivi, la Chimico Galvanica. Inoltre nella sua azienda ha assunto come dipendenti numerosi socialisti cacciati da Molinella e rifugiatisi a Bologna. In seguito lʼazienda viene trasferita in via deʼ Poeti 5, in un locale sotterraneo – «il fondone» – dove un tempo aveva sede la tipografia de «il Resto del Carlino». Da allora «il fondone» diventa uno dei principali luoghi degli incontri cospirativi dei socialisti bolognesi.

Un altro, non meno importante, è il negozio di calce e gesso di Alberto Trebbi, in vicolo Broglio. Il 22 aprile 1938, in occasione della visita di Hitler in Italia, viene arrestato e trattenuto in carcere fino al 10 maggio. Nel 1942 – in accordo con Viotto e Lelio Basso – con Fernando Baroncini e Tega costituisce il MUP, il gruppo che raccoglieva gli ex socialisti riformisti turatiani. Altri dirigenti erano Gianguido Borghese, Bentivogli, Alfredo Calzolari ed Enrico Bassi. Nel settembre 1942 rappresenta il MUP nella riunione promossa da PSI e PCI per costituire il Comitato unitario d’azione antifascista, il primo nucleo unitario dellʼantifascismo bolognese che sarà ribattezzato poi in Fronte ed infine in Comitato di Liberazione Nazionale.

Arrestato nella primavera del 1943, ritorna in libertà dopo la caduta del fascismo e è tra i promotori della riunione che si tiene ai primi di agosto nello studio di Roberto Vighi, per lʼunificazione del PSI e MUP. Il 28 agosto 1943 interviene alla riunione di Roma nel corso della quale si ha la riunificazione nazionale e la nascita del PSUP. Al ritorno è nominato vice segretario della federazione bolognese del partito, con Bentivogli, mentre Baroncini ne diventa il segretario.

Con l’inizio  della Resistenza si mostra uno dei più tenaci sostenitori della necessità di combattere il nazifascismo e è sempre contrario alle posizioni attendiste che affiorano nel partito. Coerentemente con la sua idea, trasforma «il fondone» in una munita base partigiana oltre che nel luogo dʼincontro di tutti i collegamenti socialisti della provincia e della regione. E’ uno dei principali organizzatori delle tre brigate Matteotti – una di città, una di pianura e la terza di montagna, – senza tralasciare il lavoro di partito. Nella tarda primavera del 1944, quando Baroncini diventa commissario politico della brigata Toni Matteotti Montagna, assume la segreteria provinciale del partito.

E’ lui, quindi – anche se il partito è praticamente diretto da un quadrumvirato: Borghese, Verenin Grazia, Bentivogli e Fabbri – ad avere sulle spalle la massima responsabilità nella primavera-estate 1944, quando il partito opera lo sforzo più generoso e consistente per indirizzare tutte le forze popolari verso la lotta di liberazione. Nei duri mesi della Resistenza, lʼex capolega contadino dimostra di essere diventato un grande dirigente politico e militare. Alla modesta base culturale – non era andato oltre la quinta elementare – sopperiva con una grande umanità e generosità.

Parla non bene lʼitaliano, ma del dialetto e della lingua parlata dai contadini, che è un misto di lingua e di dialetto, fa un uso efficacissimo. Non arretra mai davanti alle responsabilità, sia politiche che morali, e è sempre dʼesempio ai suoi compagni. E di esempi ne diede parecchi. Il 15 luglio 1944 sale sullʼAppennino e raggiunge la brigata Toni Matteotti Montagna nei pressi del Corno alle Scale, per risolvere una grave crisi politico-militare. Altri avrebbero mandato la solita staffetta. Lui preferisce andare di persona lungo i sentieri di montagna, anche se ha 56 anni. Una notevole prova di fermezza e di lungimiranza la fornisce il 22 settembre 1944 quando il PCI bolognese, senza interpellare il CLN, decide di proclamare lʼinsurrezione della città per il 25. Gli alleati sono alle porte di Bologna e sembra che la liberazione sia imminente.

La decisione insurrezionale – a parte il fatto che un simile ordine poteva darlo solo il CLN – può sembrare quindi giustificata. Lui e Grazia, dopo aver informato il presidente del CLN, intervengono presso i dirigenti del PCI e ottengono la revoca della decisione. Alcuni giorni dopo, tutti i rappresentanti dei partiti riconfermano che solo il CLN può proclamare lʼinsurrezione.

Senza quellʼintervento, – gli alleati giunsero a Bologna nellʼaprile 1945 – l’insurrezione si sarebbe trasformata in  un disastro. E’ in una terza occasione che da prova del suo senso del dovere oltre che della sua umanità e della sua fede politica. Alla fine del 1944, dopo che il fronte si è fermato alle porte di Bologna e i nazifascisti cominciano una dura reazione antipartigiana, il partito socialista decide di inviare una commissione al sud, per prendere contatto con la direzione del PSIUP, con il governo italiano e il comando alleato e decidere la strategia della guerra. Si offre volontario e il partito gli affianca il tenente colonnello Mario Guermani, vicecomandante della piazza militare di Bologna.

Il 17 dicembre 1944 – dopo aver lasciato la segreteria del partito a Bentivogli – lasciano la città e dopo avere attraversato l’Appennino innevato e ricoperto da campi minati, raggiungono Porretta Terme dove si incontrano con i partigiani della brigata Toni Matteotti Montagna. I due si recano a Roma e conferiscono con il governo, con il comando alleato e con i dirigenti del partito. Dopo essere intervenuti a Napoli al congresso della rinata CGIL, ritornano a Porretta Terme il 12 gennaio 1945 dove sono costretti a sostare sino alla metà di febbraio, a causa delle intense nevicate.

Si rimisero in viaggio nel pomeriggio del 14 febbraio 1945, dicendo che avrebbero tentato di attraversare le linee in località Bombiana (Gaggio Montano). Li guida un elemento locale, Adelmo Degli Esposti. Prima di sera, la guida rientra da sola nelle linee alleate. Ai partigiani della brigata Toni Matteotti Montagna dicendo che durante l’attraversamento di un bosco – del quale non sapeva indicare la località esatta – aveva sentito degli spari.

Spaventatosi, era tornato indietro, senza preoccuparsi dei due compagni di viaggio. Tutti i matteottini si offrino volontari per attraversare le linee e ricercarli. Quando le pattuglie erano pronte per l’uscita, il comando brasiliano – nella cui giurisdizione si trovava il tratto di fronte tenuto dalla Matteotti – vieta la missione. Dei due non si seppe più nulla e attorno alla loro fine si intrecciarono molte versioni.

Una cosa, comunque, è certa: i cinque milioni che avrebbero dovuto portare a Bologna – da versare nelle casse del CLN – all’ultimo momento erano stati lasciati al comando della Matteotti. Fabbri, in tasca, aveva solo un grosso assegno, come fu constatato il giorno in cui furono ritrovati i suoi resti mortali, accanto a quelli di Guermani. Ciò avvenne nellʼaprile 1946, ad Abetaia di Bombiana (Gaggio Montano), dopo lunghe e amorevoli ricerche condotte personalmente dal figlio Nevio. Dallʼautopsia risultò che erano stati colpiti entrambi da numerose schegge, anche se non fu possibile accertare il tipo di proiettile, mina o bomba a mano.

Alla sua memoria è stata conferita la medaglia d’oro con questa motivazione:

«Ardente animatore della Resistenza, dopo avere compiuto molteplici temerarie imprese, si prestava volontariamente ad effettuare una importantissima azione di collegamento con i Comandi che si trovavano oltre le linee nemiche. Addentratosi tra i nevosi valichi dell’appennino, stremato di forze, perdeva la vita».

Appennino toscoemiliano, 14 febbraio 1945.

A Fabbri gli sono state dedicate una strada di Bologna, a una di Molinella e a una di Gaggio Montano e a una sezione del PSI.

“Palita”

Ricordo di Grazia Verenine  – Segretario del C.L.N. regionale

(estratto da Epopea Partigiana)

Dario aveva chiesto di vedermi.

Ci si muoveva a stento: la rete si stringeva ogni giorno di più intorno a noi.

Eravamo braccati come lupi e ogni giorno che passava vedeva le nostre file diradarsi: quelli di noi che non erano caduti fra gli artigli dei Tartarotti, dei Serrantini, dei capitani Goold, erano stati costretti a trovare rifugio presso qualche base tra le «Matteotti» operanti nella Bassa. Altri vivevano nascosti e isolati in città.

Due soli tra noi — Bentivogli e chi scrive — dopo esserci detto la sera precedente che lì non ci saremmo più trovati, continuavano a frequentare la tana in via De’ Poeti. Lo sapevamo che ciò costituiva un vero pericolo; ci rendevamo conto che tale nostro comportamento costituiva una trasgressione grave alle consuetudini più elementari della vita cospirativa, trasgressioni di cui il Partito avrebbe potuto chiederci conto (e nessun altro io ho mai conosciuto che come Giuseppe Bentivogli avesse sviluppata tale sensibilità fino allo scrupolo, fino al sacrificio); nonostante tutto, ogni mattina ci affrettavamo verso la tana e lungo la strada ci sorrideva il pensiero di rivedere «Palita», (Paolo Fabbri), di ritrovare «Palita», di riunirci a «Palita».

Dario (Ilio Barontini) voleva vedermi, ed io salii fino l’ultima rampa delle scale nell’ultima casa di via Pastrengo. E accanto a Dario, a Romeo, steso su di una rete di letto era Mario — il martire Vincenzi che subì lo strazio della tortura e venne assassinato nelle ultime ore di lotta con Giuseppe Bentivogli — era Mario, ufficiale di collegamento di Dario, reduce da Roma, che aveva raggiunta e da dove era ritornato attraverso le linee nemiche.

Fu Dario a parlare e a dirmi che aveva notizie sconfortanti da riferire.

Vedere Mario steso e stanco su quella rete, e ricollegare la sua presenza all’assenza di «Palita» fu un unico pensiero, un attimo, fu una fitta dolorosa, fu un singulto che la gola non trattenne. E Dario che conosceva e comprendeva quanto fossero grandi l’attaccamento, la fiducia, l’affetto amorosamente fraterni che ci legavano a «Palita», a «Palita» che egli stesso aveva imparato ad amare e a stimare, stentava — io lo vedevo — a parlare, non trovava la frase, si rifiutava di dirla.

A Roma al Partito, al Ministero, erano seriamente preoccupati: a Firenze, dove Palita e Guerra erano passati, gli Ufficiali e i Comandi Alleati disperavano ormai della loro salvezza. Mario si dichiarava convinto che al passaggio delle linee, al loro ritorno, i nostri compagni fossero caduti in qualche tranello dove avevano perduta la vita.

Secondo le previsioni, essi avrebbero dovuto tornare da un mese e mezzo, circa. Le prime inchieste, immediatamente intraprese, le stesse dichiarazioni della guida che li aveva accompagnati nel tentativo effettuato di rientrare attraverso le linee tedesche, lasciavano trapelare la sorte disgraziata nella quale erano incorsi.

Non si parlò di altro quella mattina: per una volta tanto Romeo non chiese rifornimenti, non chiese denaro; Mario non aveva ispezioni da compiere tra le S.A.P. Socialiste; Dario tacque sui movimenti e sulle azioni delle Brigate Emiliane.

Scendendo le scale avevo l’impressione che in quella stanzetta, lassù, fosse rimasta l’ultima espressione terrena di Paolo Fabbri e il pensiero della sua irreparabile scomparsa, oltre lo strazio, provocava in me prepotente un impeto di ribellione. Avevo la gola serrata e lungo la strada non riuscii a trattenermi.

Ora, il pensiero correva ancora alla grotta dove, al suo tavolo, seduto sulla poltrona di «Palita», era ad aspettarmi il suo grande fratello, quello col quale per oltre trent’anni aveva diviso tutte le battaglie, e le vittorie e le sconfitte, e il carcere e il confino, e le violenze dell’agraria e quelle del fascismo, quegli che con lui aveva spartito miseria e sconforto, mentre i figli dell’uno e i figli dell’altro avevano diviso pane, sofferenze, gioie.

Gli episodi incalzavano, irrompevano nella mia mente. E riandavo ai loro ricordi, che avevo appreso tra un frammento e l’altro di una discussione, o, mentre viaggiando insieme, ci si recava o si ritornava da qualche convegno clandestino, quando, a riposare la mente, raffioravano in «Palita» e in Bentivogli gli episodi più salienti della loro vita, che era stata la vita stessa del nostro Partito, negli ultimi quarant’anni di lotta.

«Palita» giovanissimo, segretario delle leghe contadine di Conselice, contadino egli stesso, ha la fortuna di essere prescelto da Giuseppe Massarenti all’organizzazione delle leghe e delle cooperative di Molinella.

Così entrava alla Mecca, poichè Molinella è stata, per oltre trent’anni, sotto la direzione di quel grande realizzatore; di quel fervente marxista — che tanto bene potrebbe fare ancora alla terra e alle moltitudini del basso bolognese e di tutta la vallata Padana — è stata, dicevamo, veramente il campo sperimentale delle realizzazioni socialiste in Italia e non soltanto in Italia.

Poi la reazione feroce scatenata dal fascismo si riversa brutale su Molinella e continua a imperversare senza tregua per tutto il nefasto periodo della dominazione mussoliniana. — Chi non ricorda tra noi i rastrellamenti, le espulsioni in massa di migliaia di molinellesi, vecchi, donne, fanciulli, — le famiglie intere dalle radici al virgulto appena nato — caricate su camions nello spazio di ventiquattro ore, dai fascisti armati di randelli e di moschetti, che per far presto gettavano i mobili dalle finestre, distruggevano, incendiando e deportando lontani dal loro paese i lavoratori socialisti per frantumare la compattezza e la resistenza che i contadini dimostravano al fascismo anticipando di vent’anni i rastrellamenti in massa compiuti dai tedeschi durante la guerra?

Si inizia per Paolo Fabbri, da allora, la vita dell’esule, del proscritto, del galeotto, del confinato, dal carcere al confine, dove, a Lipari, con Ferruccio Parri organizza e porta a buon fine la fuga di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Nitti, scontando poi tale sua partecipazione con altra galera.

Ed il 25 luglio 1943 trova ancora Fabbri in San Giovanni in Monte a Bologna. Viene liberato e riprende immediatamente il suo posto alla testa del movimento socialista di cui è l’anima dell’organizzazione.

Durante tutto il periodo della lotta clandestina prima e dopo l’8 settembre egli è l’animatore è il suscitatore di meravigliose energie. È in lui un’intuizione perfetta, una serenità di temperamento che ha dello stoico, una sensibilità politica che in questo periodo nessun altro, come lui, dimostrava di possedere. Nella direzione del Partito di cui è membro, nell’Esecutivo regionale socialista, nel Comitato regionale di L. N. di cui fa parte, nella Giunta d’intesa costituitasi fra comunisti e socialisti, in tutti i convegni clandestini ai quali durante lo stesso periodo interviene, a Milano, a Torino, dovunque egli sia chiamato, sa quel che deve dire, sa quel che deve fare, ha il potere, il merito, l’abilità di centrare ogni discussione, ogni dibattito e di avviare i vari problemi che vengono discussi, diretti verso le loro soluzioni naturali, nemico di ogni contorsionismo, di qualsiasi forma opportunistica, esprimendosi sempre con chiarezza cristallina, anche se qualche volta costretto ad essere rude contro tutti e contro i compagni, prima ancora che cogli altri. Quando il Partito organizza le prime formazioni partigiane, « Palita » non si limita a dare la propria adesione, ma va coi partigiani e vive la loro vita, su in montagna, e veglia con loro di notte, lassù sul Corno delle Scale, a mille e trecento metri, in pieno febbraio, montando di sentinella e soffrendo coi più giovani il freddo e la fame.

Oh! io rammento fin che avrò vita, una notte trascorsa con lui alla stazione di Milano, di ritorno da un convegno segreto che si era tenuto a Torino, costretti a tale sosta dal coprifuoco e dalle bande nere della Muti che al di fuori del recinto della stazione ululavano come lupi lanciati sulla preda, mentre sparavano all’impazzata.

Ci eravamo compresi, ci sentivamo affezionati l’un l’altro d’un affetto amorevolmente fraterno. «Palita», quella notte, fu di una dolcezza insolita, fu un compagno meraviglioso. Parlò del Partito, dei compagni, dell’ avvenire com’ egli pensava dovesse essere riservato al proletariato italiano, con sensi di amore e di trasporto che intenerivano. In quella notte grigia milanese io avevo completamente trascurato il ritorno dell’alba, il treno che doveva portarci a casa, per vivere soltanto nell’armonia spirituale che tra noi eravamo riusciti creare. Poi, dall’effiuvio dei ricordi, mi ritorna l’ultimo: di lui, mentre partiva per la missione dalla quale non sarebbe più tornato: l’abbraccio tenero del compagno, del fratello. La serenità, la sicurezza nel raggiungimento dell’impresa che gli avevano affidata.

Svoltando per via Poeti, sorse improvviso un altro pensiero: come dirlo a Bentivogli, come dire che «Palita» era caduto, come dirlo al suo compagno più caro, a colui che, quando si riferiva all’amico assente, lui duro, lui scontroso, lui maschera chiusa ad ogni tenerezza, quando si parlava di «Palita», si addolciva in viso, gli occhi sorridevano come un padre al ricordo della propria creatura? Ed improvvisa mi sorse davanti l’espressione fiera di «Palita» e mi parve di udirlo deciso parlare ne suo dialetto: «Sta zétt sta zett».

Scendevo nella grotta: al solito tavolo, sulla stessa poltrona Bentivogli era là che mi aspettava. Attorno a lui era Alfredo Calzolari altro scomparso che non dimenticheremo mai – Giulio Fattori e il giovane «Lampo» che erano venuti da Molinella per ricevere istruzioni.

— Ebbene, che ne è di «Palita»?

— «Palita»… torna, ma tarderà ancora perchè ha scelto un’altra strada per rientrare…

E scappai su per le scale perchè non mi vedesse piangere.

 

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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